Nell’angolo tra corso XI settembre e via Belvedere l’edificio del San Benedetto presenta elementi diversi e stratificati, a differenza degli altri lati molto più omogenei. Da qui è più facile parlare delle origini della sua costruzione, evidentemente sovrapposta a costruzioni preesistenti. Si vede dalla colonnina proprio nell’angolo, presente in vecchie immagini ma in realtà poco pertinente alla struttura che vediamo. E poi ancora guardando in alto l’incastro dei tetti, che rendono evidente una sovrapposizione ed un incrocio  di mura. 

Poco più avanti si vede una porta di accesso. E’ l’ ingresso originario del primo ricovero per alienati di Pesaro, voluto dal delegato pontificio Benedetto Cappelletti. 

Un luogo in cui i mentecatti, come venivano chiamati, erano ospitati c’era già a Pesaro, perché il papa  Benedetto XVI nel 1749 avevano intimato alle Provincie di trovare i fondi per provvedere a questi malati. La situazione ancora precedente era infatti disumana: i pericolosi venivano incarcerati, gli innocenti abbandonati, i deliranti torturati e uccisi: sotto gli Sforza e i Della Rovere il problema non era mai stato affrontato.  Ma la soluzione quasi dappertutto  era stata trovata in locali riadattati e assolutamente non idonei; a Pesaro erano stati sistemati  a Porta Curina, la porta che si trovava dove oggi sorge l’ospedale, chiamata anche Porta dei Cappuccini per la vicinanza al convento dei Cappuccini: “un ricovero per mentecatti”, un luogo a cui era difficile avvicinarsi per il fetore, un ricovero privo di letti e di servizi, dove i folli stavano anche in due o tre in una stanza e capitava anche che si attaccassero e ferissero l’ un l’ altro: questo il commento di Cappelletti, che vi si era recato per sollecitazione del confaloniere della città, Gordiano Perticari.

Per questo venne individuata una zona in cui costruire un edificio dedicato e l’attenzione cadde sul complesso dei carmelitani  in fondo all’attuale corso XI settembre, espropriati dalle leggi napoleoniche nel 1811.  Per avviare i lavori, si buttarono giù alcune casette e una osteria. La vecchia struttura è visibile soprattutto nell’incastro di tetti e, se oggi si vede ancora la punta della antica chiesa solo se si sale nel giardino degli Orti Giulii, visibile ancora più chiaramente fino agli anni ’40, mentre le pareti interne non si possono più vedere. 

Utilizzati i primi fondi per adattare il complesso dei carmelitani, Monsignor Cappelletti si rivolse direttamente al papa Leone XV: ''Sessantatré e più esseri incapaci di distinguere il bene da male, sono a guisa di feroci belve qua e là rinchiusi in orridi e fetentissimi ricettacoli, affidati alla custodia di persone, che cercano l'utile proprio a carico dell'esistenza di infelici, a quali poco cibo, e cattiva bevanda si presta, aggravati da catene, coricati in poca fradicia paglia, altro rimedio ad essi non si presta se non il Bastone per superarle e vincere la Pazzia da cui fatalmente sono tormentati. Il quadro è purtroppo vero''. Il papa concesse i fondi e, finalmente, nel 1824 Cappelletti affidò il progetto ad Angelo Pistocchi; nel 1828 fu possibile il compimento della struttura per ospitare almeno sessantatré posti, malati di  ogni Comune della Delegazione Pontificia.  Nel 1829 venne aperto.